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Giornalismo contro complottismo : meno imprecazioni e più inchieste

par Henri Maler,

Troverete qui di seguito la traduzione in italiano (Libertà di stampa, diritto all’informatzione - lsdi) di un articolo inedito tratto dal inserto « Media e complotti » apparso nel numero 11 del giornale trimestrale dell’associazione



Che si tratti della visione cospirazionista globale della società e della storia oppure del micro-complottismo che si diffonde in occasione di avvenimenti particolari, sono numerose, molto numerose, le opere di analisi sociale o quelle di giornalisti che si impegnano a smontarli e a spiegare come nascono e chi li inventa e li propaga.



Ma sono rare, troppo rare, le inchieste giornalistiche che, non nei libri, ma sui grandi media, non si limitano a denunciare dei ‘’cervelli malati’’ e tentano invece di rispondere agli argomenti ritenuti ‘’cospirazionisti’’ rivolgendosi all’ ampio pubblico di coloro che dubitano. E le spiegazioni giornalistiche, quando ci sono, sono diffuse da media la cui audience resta comunque limitata.

Il complotto degli increduli

In vari paesi larghi settori dell’ opinione pubblica – per lo meno quella che i sondaggi pensano di riflettere – confessano la loro incredulità nei confronti delle spiegazioni fornite o accreditate dai media dominanti : dall’ attacco di Pearl Harbour nel dicembre 1941 agli attentati dell’ 11 settembre 2011, dall’ assassinio di Kennedy alla morte di Lady Diana, per non ricordarne che alcuni.

Quella opinione pubblica è una costruzione artificiale dei sondaggi stessi, che aggregano delle risposte diverse : una opinione che non si manifesta affatto in quanto tale al di fuori di questi sondaggi, che non forniscono quindi, nell’ ipotesi più favorevole, altro che indici. Ma di cosa ?

 L’ incredulità si nutre prima di tutto di una sfiducia generalizzata nei confronti delle informazioni fornite dai media, nei confronti dei giornalisti e delle informazioni che essi diffondono, una sfiducia di cui essi fanno le spese, anche se questi media e questi giornalisti non sono responsabili o, almeno, non sono i soli responsabili.

 L’ incredulità poggia sulla convinzione secondo cui è dietro le apparenze che conviene cercare la verità, anche a costo di attribuire a delle azioni concertate di individui o istituzioni quello che nasce invece da logiche sociali e politiche senza le quali queste azioni, quando esistono, sarebbero inefficaci.

 L’ incredulità può infine trovare la sua fonte anche nel ricordo di precedenti sgradevoli : delle ‘’macchinazioni’’ di tutti i tipi che i media hanno combattuto quando erano vere e che hanno invece accreditato quando erano inventate.

Che si tratti, dunque, di ‘’complotti immaginari’’ : i pretesi ‘’massacri’’ di Timisoara, il presunto ‘Piano a ferro di cavallo’’, attribuito a Milosevich, destinato a ‘’ripulire’’ il Kossovo da tutta la popolazione albanofona, la campagna di disinformazione sull’ esistenza di presunte armi di distruzioni di massa sotterrate nel deserto irakeno da Saddam Hussein, ecc. O che si tratti di macchinazioni reali, fomentate o sostenute dalla CIA soprattutto : il colpo in Iran nel 1953, il colpo di stato in Cile nel 1973, il programma di armamento dei talebani in Afghanistan a partire dal 1979, il finanziamento illegale dei contras nicaraguegni nel corso degli anni ’80, ecc.

La disfatta del giornalismo

Che fanno i media per combattere l’ incredulità che li colpisce e che colpisce, nello stesso tempo, le informazioni che essi diffondono, anche quando sono verificate ?

 Condannare la sfiducia nei confronti dei grandi media senza capirla, rispondere ai dubbi, anche quelli fondati, fornendo delle certezze assolute, squalificare qualsiasi critica ai media assimilandola a una sorta di paranoia cospirazionista : sono questi i peggiori servizi che si possa rendere al giornalismo stesso.

 Trattare l’ inquietudine insoddisfatta delle persone nei confronti delle apparenze come una colpevole ignoranza, attribuire loro delle inclinazioni cospirazioniste e valutarle dall’ alto in basso, da tutta l’ altezza di cui sono capaci i pedagoghi che non parlano che a se stessi e disprezzano il popolo che pretendono di istruire : questi atteggiamenti nascono da una concezione del giornalismo la cui arroganza è pari alla sua impotenza quando trasforma delle persone dubbiose in un popolo di cospirazionisti.

 Sminuire l’ esistenza di cospirazioni reali o la diffusione di ‘’complotti immaginari’’ inventati dalle istituzioni politiche e dai loro servizi, mentre queste azioni o queste menzogne di Stato inducono a nutrire dei legittimi sospetti, significa alimentare quello che si condanna : la ricerca di complotti nascosti che sono spesso immaginari.



***




(…) Ai ‘’maniaci del complotto’’ rispondono troppo spesso, nello spazio mediatico, i maniaci del ‘’complottismo’’, che non solo ne amalgano tutte le forme, ma le attribuiscono generosamente a delle posizioni che non sono affatto cospirazioniste. Ora, vedere del cospirazionismo dappertutto impedisce ai giornalisti di farvi fronte quando si verificano davvero. E se si aggiunge che non basta scoprire dei processi cospirativi per contrastarli (come mostra il caso di Alain Soral), le pretese inchieste monolitiche sul cospirazionismo (come quella di Daniel Leconte e Philippe Val), rappresentano la disfatta del giornalismo d’ inchiesta.

Contro queste sconfitte del giornalismo, un solo rimedio : un po’ meno imprecazioni e un po’ più di giornalismo !

Henri Maler

 
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